Cinema Novo di E.Rocha: incanta il “nuovo cinema favela” del Brasile anni ‘60
“Una cinepresa in mano, un’idea in testa” era più di uno slogan, più di un credo. Era un metodo di produzione per i registi del movimento brasiliano Cinema Novo. Un cinema che (ri)cercava di penetrare l’anima di una nazione, per un’identità tra Cinema e Paese, in modo che al mondo arrivasse la giusta e vera immagine di un Brasile che non fosse solo povertà e favelas, ma un luogo dove l’arte era viva, dove invenzione e creazione artistica esistevano, germinavano ed erano contemporanee, anzi erano di più, erano una cosa sola.
Cinema Novo, il film documentario di Eryk Rocha, figlio di Glauber Rocha, uno dei padri fondatori dell’omonimo movimento che dà il titolo al film, e senza dubbio tra gli autori più visionari degli anni Sessanta, è una fotografia nitida e seducente di un cinema nazionale allo stesso tempo polveroso e poeticissimo, che purtroppo non trova che poche righe tirate via sui nostri manuali universitari. Nelle sale italiane il 5 marzo grazie a Cineclub Internazionale Distribuzione, presentato nella sezione Cannes Classics e vincitore Premio L’Oeil D’Or per il miglior documentario al 69esimo Festival di Cannes assegnato da Gianfranco Rosi, Cinema Novo squarcia il velo di maya su un cinema taciuto ma non dimenticato, nascosto ma non disperso, di sicuro fascino e impatto sul cinefilo più incallito, ma non meno sul comune spettatore voglioso di qualcosa di diverso e con un desiderio di conoscenza del cinema che aspiri ad una visione più ampia e d’insieme, mondiale più che sovranazionale.
Il film si tuffa a capofitto nell’avventura creativa di una generazione di cineasti che, ritenendo inscindibile politica, arte e rivoluzione, hanno inventato un modo novo di fare cinema in Brasile. Cinema Novo è un collage riuscito di testimonianze e “versioni dei fatti” dei principali protagonisti del movimento, alternando le parole e i racconti con ampi spezzoni tratti dai principali film di una filmografia nazionale “in divenire”, brani filmici che a dir il vero sono forse la parte dominante e più ammaliante del documentario. È così che sperimentiamo che anche il Brasile, come anche altri cinema dell’America Latina, hanno avuto il proprio Neorealismo e la propria Nouvelle Vague, i propri Rossellini e Visconti come i propri Godard e Truffaut. A questi un po’ si ispirano, un po’ si rifanno, un po’ “ci sono” come a dirci che la grande anima del Cinema pervade il mondo oltre i confini delle nazioni.
Pur perdendo qualcosa in tenuta e ritmo nella seconda parte, la prima è assolutamente meravigliosa e trascinante. Suggestiva la sequenza d’apertura, che tramite un accorato montaggio parallelo mischia scene di film diversi del Cinema Novo in nome del tema della corsa (ci ricorda subito quelle di Antoine Doinel-Jean Pierre Léaud ne I 400 colpi), con richiami al surrealismo e alle avanguardie russe degli anni Venti, in un “montaggio delle attrazioni” e un “cine-pugno” che sarebbero certamente piaciuti anche al severo Sergej Ejzenstejn. Colpisce al cuore anche la sequenza finale, con un mix di titoli di coda di film brasiliani del tempo, con eterogenei “directed by” della dozzina e più di registi che hanno reso nobile e noto un cinema che aspirava alla novità, allo strappo col passato sulle vie della liricità e della strada.
Il prete e la ragazza, Cinque volte favela, Il dio nero e il diavolo biondo, Antonio das Mortes, Macunaìma. Sono solo alcuni dei titoli di film che il documentario rievoca e ci fa venire voglia di recuperare, riesumandoli dall’ombra e dalla polvere delle nostre mediateche.