Captain Fantastic di Matt Ross, la recensione

captain fantastic filmNel cuore di una foresta dello Stato di Washington, sei fratelli passano le giornate allenandosi fisicamente e intellettualmente sotto lo sguardo attento del padre Ben Cash (Viggo Mortensen). La morte della moglie Leslie (Trin Miller), avvenuta dopo un lungo ricovero, costringe tutta la famiglia a lasciare i protettivi boschi e ad intraprendere, per partecipare alle esequie volute dal ricco padre di lei (Frank Langella), un viaggio di ritorno a bordo di una casa-bus verso quella normalità sociale a loro aliena. Questo farà presto venire alla luce dissidi e dispiaceri, obbligando tutti a mettere in discussione le proprie certezze.

Matt Ross dirige questo film sul conformismo concentrando l’attenzione sull’educazione  didattica, ma soprattutto su quella relazionale. Ottiene un’opera interessante, parola proibita ai piccoli Cash che devono sempre saper argomentare le loro riflessioni. Ma nel complesso Captain Fantastic, non scevro di furberie, pur essendo narrativamente sovrabbondante e con una punta di retorica, è meno prevedibile di quanto ci si possa aspettare.

Purtroppo, il non scegliere un preciso campo narrativo, il camminare sul filo dei generi, tra tragedia, commedia e road movie, non giova a Captain Fantastic, anzi lo penalizza, rendendolo fondamentalmente inoffensivo e senza mordente.

Al contrario Viggo Mortensen è assolutamente perfetto. Non esagera mai, dosando in Ben la giusta quantità di carisma, intensità e fragilità. Ben: padre, compagno, “dittatore”, rifiuta in toto tutto ciò che propone la società dei consumi, la sua dovizia e l’ignoranza della cultura di massa contemporanea. Senza lasciar libera scelta ai figli, impone loro una ferrea disciplina fisica e culturale, costringendoli in una utopistica, laboriosa, bucolica vita marxista platoniana, dove egli ricopre il ruolo di padre-comandante. Niente elettricità né acqua corrente né cibo confezionato né  scuola, ma tanto esercizio fisico, caccia e agricoltura bio, musica, libri e studio.

Ma privare un bambino della scelta, obbligarlo a stare o con la società istituzionale o con quella alternativa, crea intolleranza ed incomprensioni. Ben non è un ingenuo né un fricchettone figlio dei fiori, ma un uomo profondo e dotato di grande ascendente, che però non si è fin lì reso conto che i continui rifiuti da lui dati al conformismo borghese non sono altro che la messa in atto di un conformismo di ritorno, ovvero due facce della stessa medaglia.

Come dolorosamente gli dimostrano i figli, che gli rinfacciano di aver creato dei “mostri” al fuori dalla realtà, l’unica alternativa possibile e accettabile è un compromesso mediato dal libero arbitrio esercitato per trovare il giusto equilibrio tra le cose.
Ben sarà così costretto, per la prima volta, a dubitare di se stesso e a mettere in discussione tutto ciò in cui crede. Forse, però, tutto ciò avviene troppo rapidamente, e tra catarsi, compromesso della riconciliazione e conseguente possibile lieto fine, l’evoluzione narrativa di Captain Fantastic risulta decisamente un po’ troppo forzata.

scritto da Vanessa Forte

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