Cafè Society: una camomilla per il signor Allen, grazie
Cafè Society è il 47esimo film di Woody Allen da quel lontano 1966 quando debuttò con Che fai, rubi? (What’s Up, Tiger Lily?). Alla veneranda età di quasi 81 anni il caustico regista newyorkese non si è ancora stancato di scrivere e dirigere film (tanto da sfornarne uno all’anno). Anche se c’è da dire che la pensione sarebbe salutare (anche) per lui.
Cafè Society è l’ennesima commediola dolce e ben impacchettata da un maestro del cinema che oramai ha ben poco da raccontarci. Ogni tanto, qua e là, sfodera qualche film col botto, mentre il resto, come Cafè Society, sono innocui mortaretti che fanno solo (un pochino) di rumore. Infatti Cafè Society è l’ennesimo spin-off di idee vecchie e invecchiate e di personaggi triti e ritriti, con il solito contorno riscaldato di ebrei e piccoli criminali da strapazzo.
La vicenda è prevedibile sin dal primo quarto d’ora, tanto che stupisce come la pellicola (ops! mea culpa, Cafè Society è il primo film girato in digitale da Allen!) possa aver superato l’ora e un quarto che di media caratterizza l’Allen meno ispirato. Perché Cafè Society mette insieme due idee con lo sputo e le tiene in piedi grazie solamente a due fattori, a priori e a giochi fatti assolutamente determinanti: l’ambientazione e il cast. Cafè Society si svolge ad Hollywood, negli anni d’oro dello star system, degli studios, dei grandi produttori onnipotenti. Lo splendore dell’epoca classica avvolge tutto, facendo luccicare più del dovuto anche la bella ma sempre uguale fotografia di Vittorio Storaro. Il cast è di prim’ordine e ciascuno svolge con impeccabile diligenza il proprio compitino, dal protagonista Jesse Eisenberg alla languida ma efficacissima Kristen Stewart al gigionesco ma contenuto Steve Carell.
E tra un cafè e l’altro a puntellare lo spettatore sulla poltroncina, in tempi di scarsità di freddure fulminanti e abbondanza di battutine che fanno appena il solletico, il film è scandito ad intervalli pressoché regolari da frasi ad effetto (o frasi-sentenza, chiamatele come volete) che stuzzicano e risvegliano (quantomeno) il nostro cervello. Ma Woody Allen, si sa, è un maestro, e anche questa è maestria. Proprio come quella dissolvenza incrociata finale coi volti dei due protagonisti che rimane ben impressa in ciascuno di noi. Ma basta questo tocco di classe a salvare l’intera baracca? No, non basta. Risultato: Cafè Society è più una Camomilla Society, una bevanda blanda e tiepida da sorseggiare senza fretta prima di andare a letto. E buonanotte Woody.