Blue Jean di Georgia Oakley: recensione
Recensione di Blue Jean di Georgia Oakley.
Presentato alle Giornate degli Autori alla 79esima Mostra del Cinema di Venezia, Blue Jean è stata una delle piacevoli sorprese del festival: la storia è semplice e lineare, ma non per questo retorica o banale.
Jean, interpretata dalla bravissima Rosy McEwen, è un’insegnante di educazione fisica in un liceo. Tende a starsene nel suo: nessuno la conosce bene né tantomeno qualcuno sa qualcosa riguardo la sua vita privata. Quest’ultima e le sue convinzioni saranno messe a dura prova dalle paure e dalle paranoie generate da uno scontro che si viene a creare con una sua studentessa e che mina la sua relazione con Viv, sua compagna con la quale ha una relazione quasi clandestina, nascosta sia ai colleghi di scuola sia alla propria famiglia.
Siamo nell’Inghilterra di fine anni ‘80, epoca in cui il governo conservatore della Thatcher promuove la sezione 28 (rimasta in vigore fino al 2003) che proibisce di “promuovere l’omosessualità” e spinge all’emarginazione della comunità gay: essere omosessuale significa essere messo sullo stesso piano di un pedofilo. Jean preferisce nascondersi se il prezzo da pagare è il rischio di essere licenziata o arrestata. Presto però si rende conto che il prezzo da pagare per continuare a nascondersi può essere ancora più alto. Sta a lei, dopo una serie di errori e scelte sbagliate, decidere se rimanere a vivere nella tristezza e nella malinconia del “blu” oppure reagire e dare una svolta alla propria vita uscendo alla luce del sole.
Blue Jean, debutto al lungometraggio per Georgia Oakley, è un’opera prima (di cui firma anche la sceneggiatura) che non avrà problemi a guadagnarsi di diritto un posto tra i film “must see” della cinematografia LGBTIQ+.