Black Panther: i Marvel Studios puntano sul black power di Pantera Nera
Diretto da Ryan Coogler (regista acclamato dopo il successo di Creed – Nato per combattere e il sorprendente dramma indie Fruitvale Station), Black Panther ha come protagonista il supereroe forse meno carismatico tra quelli portati fino ad oggi sul grande schermo dai Marvel Studios. Anche se di certo non delude i fan dei cine-fumetti noncuranti di un’overdose di (buoni) effetti speciali.
Il cast di Black Panther è notevole: oltre a Chadwick Boseman che presta (all’apparenza con poco entusiasmo) il volto al protagonista, vi troviamo Michael B. Jordan (alla terza collaborazione con Coogler e alla sua seconda occasione con un personaggio Marvel dopo l’aberrante Fantastic Four di Josh Trank), Martin Freeman, Andy Serkis, Danai Gurira (la Michonne di The Walking Dead, qui calva e con una lancia al posto della katana), i premi Oscar Lupita Nyong’o e Forest Whitaker (sempre bravo e credibile nonostante i “pallini” gialli sul viso) e una ritrovata (grazie soprattutto ai ruoli in tv nelle serie di Ryan Murphy) Angela Bassett vestita da meringa.
Si tratta del diciottesimo film del Marvel Cinematic Universe e, nonostante sia l’ultimo prima dell’arrivo di Avengers: Infinity War che riunirà tutti i personaggi presentati fino ad oggi, Black Panther costituisce un vero e proprio stand alone con pochi rimandi alle pellicole precedenti. Il personaggio ci era già stato presentato in Captain America: Civil War, quindi già dai primi minuti si viene immediatamente catapultati nel pieno della storia con T’Challa intento a difendere il proprio trono, la conseguente presentazione del pericolo, passando poi al cattivo che sembra avere la meglio sul protagonista, fino ad arrivare all’ happy end.
Black Panther ha un buon ritmo (e la colonna sonora curata da Kendrick Lamar dà una grossa spinta al film), un po’ calante nella seconda parte caratterizzata da varie banalità (quasi tutte perdonabili) e poco coraggio (in fondo meglio andare sul sicuro, no?). Insomma cambiano i condimenti – un po’ di politica e black pride – ma la struttura è sempre la solita: alla fine della fiera, perché cambiare quando questi film continuano a macinare record al box office e la critica americana continua ad adorarli?