Black Mirror Bandersnatch: l’episodio-film interattivo Netflix è una figata pazzesca

Recensione di Black Mirror: Bandersnatch, l’episodio-film interattivo di Charlie Brooker disponibile su Netflix.

black mirror bandersnatchFilm interattivo, movie-game, nuova frontiera della fruizione on demand. Chiamatelo come volete, fatto sta che Black Mirror: Bandersnatch è una gran figata. E non solo. È anche una riflessione sfaccettata, profonda, divertita e goduriosa sui concetti di regia e montaggio, racconto e discorso, libero arbitrio e destino. Insomma, non ci si poteva aspettare di meglio da quel cervellone cervellotico e geniale di Charlie Brooker.

Con cinque finali differenti e tante possibili combinazioni, è l’apoteosi della scelta (o almeno così ci illude d’essere). Se nella vita ci troviamo costantemente di fronte a un bivio (cosa mangiare, che musica ascoltare, restare o andare, ecc.), in Black Mirror: Bandersnatch accade esattamente la stessa cosa: siamo noi a scegliere, o almeno ci mettiamo del nostro nel dubbio che, comunque vada, sia già tutto scritto da un deus ex machina superiore, un PAC (Program and Control) nell’evento speciale (più che episodio singolo della quanti stagione) di Black Mirror.

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Bandersnatch ci trasforma da spettatori a spett-attori o spetta-giocatori, catapultandoci nei mitici anni Ottanta, con quei videogiochi che oggi sembrano preistoria ma al tempo erano pura ludica eccitazione per ogni ragazzo, prendendo le mosse da quei libri-game che un tempo andavano fortissimo. Cosa sarebbe accaduto se? Oppure cosa accadrebbe se? Intorno a queste domande si struttura il film che vuole porre lo spettatore al centro, trasformando la visione in un vero e proprio gioco, in cui le decisioni variano dalle più piccole e insignificanti (cosa mangiare per colazione? Che musica ascoltare in autobus?) ad altre ben più complesse e dalle conseguenze più evidenti (ucciderlo oppure no? Seguire un personaggio oppure no?). Il film, quindi, è tanti film contemporaneamente, stravolgendo il canonico approccio e giudizio che generalmente abbiamo di un film (ci sediamo, lo guardiamo, lo giudichiamo). Black Mirror: Bandersnatch altera tutto questo, perché ci chiama in causa, alla faccia dell’immedesimazione standard! Se poi le nostre scelte siano tali al 100% o siamo sempre e comunque dei burattini “telecomandati”, poco importa. Perché Black Mirror: Bandersnatch, pur sottolineando più volte il lato filosofico e riflessivo che si porta dentro e che ci propone, in realtà vuole essere un grande joke, come di natura è ogni gioco.

Ma la vera trovata di Bandersnatch è un’altra: non lascia lo spettatore “esterno” col (solo) potere di un click che può fare e disfare, ma ci porta dentro, interni al film, tanto che il protagonista Stefan (Fionn Whitehead) interagisce con noi, commentando alcune nostre scelte come rivolgendosi ad un dio così vicino e così lontano. Siamo quindi ad un tempo dentro e fuori, “sceneggiatori” e personaggi, e questo aumenta la libido di questo film-esperimento assolutamente riuscito. Ma non solo. La stessa Netflix, da casa di distribuzione e piattaforma di streaming, non si limita ai suoi “compiti istituzionali”, ma essa stessa entra nel film, con un paio di soluzioni che puntano ad accentuare l’originalità del prodotto (mai come in questo caso è sacrosanto usare questo termine!) e a “proiettare” la diegesi in un futuro che per noi è il presente nel quale stiamo decidendo cosa Stefan deve o non deve fare.

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Come è giusto che sia, infine, Black Mirror: Bandersnatch rende omaggio a film che, in vario modo, si sono cimentati col concetto di realtà parallela e simil tali. Evidente il richiamo a Matrix dei Wachowski (in particolare nella scena delle due pillole colorate), ma anche a Lola corre di Tom Tykwer (tramite Kitty, personaggio dai capelli rossicci che ricorda la Lola interpretata da Franka Potente) e Sliding doors di Peter Howitt.

Insomma, Black Mirror: Bandersnatch è un grande trip e un grande film sulle possibilità, che ampia, come ancora non si era mai visto, le potenzialità non solo espressive ma anche mediali e fruitive del prodotto cinematografico. Qualcosa che non incappa nel mantra del flop, ossia il buon vecchio try again (ritenta sarai più fortunato!), ma in un augurio che non lo confini nell’unicum e o nel cult, bensì in un desiderato to be continued.

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