Black Earth Rising: il genocidio in Ruanda su Netflix
Recensione della serie Black Earth Rising su Netflix.
Tra le tante serie ultimamente prodotte, spiccano quelle antologiche, più esattamente quelle di carattere storico, legate ad eventi della Storia ma con personaggi e vicende più o meno fittizie. Si va da Il processo a O.J. Simpson, in cui non solo l’evento trattato è accaduto ma quasi tutti i personaggi presenti nella serie sono realmente esistiti, a Manhunt, sul caso Unabomber, in cui l’elemento di finzione è più forte.
Black Earth Rising, pur con le dovute differenze, s’inserisce in questo filone. In questo caso, pur legati all’evento storico del genocidio in Ruanda del 1994, i personaggi sullo schermo sono fittizi. La tematica è senza dubbio tra le più delicate, perché recente e perché connessa ad eventi fortemente traumatici. Ma la serie non ne evita i punti più dolenti e dolorosi, tra i quali la compromissione della Francia con lo stato Hutu genocidario o gli aspetti problematici della ricostruzione. Niente e nessuno viene risparmiato, neppure l’ONU, l’AJA o l’atteggiamento ambiguo della comunità internazionale intorno a forti interessi economici. Nonostante questo, a pagarne le spese è la trama stessa della serie, in più passaggi farraginosa e debole, e con alcuni colpi di scena poco credibili.
Tuttavia, la serie si (di)mostra un buon prodotto. Tra i punti a favore, la scelta di rappresentare i ricordi sul genocidio con stile fumettistico in bianco e nero e gli impattanti titoli di testa con la carta dell’Africa che si disegna nel rosso del sangue versato, accompagnati dalla canzone You want it darker di Leonard Cohen (che non può non ricordare i titoli di True detective 2).
Riguardo la recitazione, invece, qualcosa non va. Soprattutto quella dell’attrice protagonista, spesso troppo spinta in eccessi d’isteria che, se all’inizio possono sembrare la scelta giusta per colpirci allo stomaco, alla lunga si rivelano quasi controproducenti.